Crocifissione (R. Guttuso)


CROCIFISSIONE
(Renato Guttuso, 1941, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)


A sparire, nel quadro, è la centralità di Gesù, messo in secondo piano. Col risultato che, dei tre uomini in croce, il più evidente è uno dei ladroni.
Il punto di vista nuovo, che spiega il successo dell'opera al suo apparire, porta ad accorgersi degli altri sulla collina. Dove - a canzonare Gesù - sono addirittura in tre (i capi, i soldati e uno dei malfattori), sostanzialmente con lo stesso messaggio: «Tu che hai il potere di tirar fuori gli altri dai casini... ora, il potere, tiralo fuori per te».
La messinscena di Guttuso è utile perché, a seconda di dove ci si posiziona, si scopre la possibilità - nei confronti di Gesù - di essergli più o meno vicini. C'è, infatti, chi sta a vedere, come il popolo. Chi, come i capi, resta lontano da lui e gli parla alle spalle. Ma si può pure sfidarlo come fanno i soldati, che - ciò che hanno da dire - almeno lo dicono in faccia, pur continuando a deriderlo. Allo stesso modo si comporta il primo dei due malfattori. Il cui sfottò ha, forse, un inizio di ravvedimento quando - all'esortazione «Salva te stesso» - aggiunge «e noi».
Il secondo, invece, rivolgendosi a Gesù, lascia da parte ogni carica onorifica e lo chiama per nome (tra l'altro, fa notare il card. Dionigi Tettamanzi, «è l'unica volta, in tutto il Nuovo Testamento, in cui troviamo "Gesù" al vocativo, senza alcun aggettivo o titolo»).
Il malfattore si sta per togliere la maschera, uscendo dal proprio ruolo. Anche se Guttuso spoglia i personaggi («per sottrarli a una collocazione temporale», ebbe ad affermare), il "buon ladrone" è l'unico - davanti a Gesù - a mettersi veramente a nudo, a rapportarsi a lui con schiettezza. Non tanto per aver eliminato le distanze, quanto per la voglia d'essere vero, riconoscendo la colpevolezza propria e l'innocenza altrui. Per cui, pur coprendo Gesù, quel malfattore diventa una lente attraverso la quale osservarlo meglio.
Grazie a lui ci rendiamo conto di quanto Dio possa essere amico. Dopo aver visto le lacrime di Gesù per Lazzaro, poi riportato in vita, l'abbiamo sentito dare dell'amico a Giuda, nonostante il tradimento. E nel momento in cui Erode e Pilato - mai stati amici - lo diventano per interesse, Gesù mostra come l'amicizia autentica non sia un patto del tipo «Io ti do se tu mi dai». Così, al ladrone che lo invoca («Ricordati di me»), risponde con un dono smisurato («Oggi con me sarai nel paradiso»).
Proprio uno strano re, Gesù: quali altri sovrani hanno il potere di dare la vita per i propri amici? Quali re, prima di morire, pensano a "sistemare" la famiglia impegnandola con due atti di affidamento (di Giovanni alla madre e della madre a Giovanni)? Quali altri re vengono lasciati altrettanto soli dagli amici e dai fedeli? Sul Golgota, nel punto più basso della storia, a tenere alto Gesù - cioè a riconoscerne la grandezza - sono stati due atei che manco andavano d'accordo: un capo militare e un sovversivo.

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